IL TEMA DELLA SETTIMANA Dopo ogni attentato cala la fiducia nelle operazioni dell'intelligence. La paura ha il sopravvento e condiziona anche le politiche europee. Probabilmente i reparti della sicurezza dei vari Paese hanno commessi degli errori, ma questo terrorismo così vasto e diversificato è imprevedibile e difficile da prevenire. Per il professor Alessandro Corneli in una situazione difficile e complessa come questa l'unica cosa certa è che tutti i governi e i parlamenti, vecchi e nuovi, d'ora in poi vareranno norme per contrastare il fenomeno, anche a costo di intaccare i diritti umani legati alla privacy.

Sono stati necessari quattro passaggi parlamentari perché la Camera approvasse in via definitiva, lo scorso 17 maggio scorso (432 i voti favorevoli e una sola astensione), l'attesa legge 29 maggio 2017 n. 71, contenente «Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo» (pubblicata in “Gazzetta Ufficiale” n. 127 del 3 giugno 2017).

Nell’ultimo testo approvato sono spariti i riferimenti al diritto penale. Si è tornati, dunque, a una versione “educativa” delle norme, epurata da qualsiasi riferimento repressivo. Restano così i limiti dell’attuale intervento, diretto solo a contrastare solo una parte del fenomeno, cioè quello del cyberbullismo.

A destare, tra gli interpreti, maggiori dubbi, è il terzo comma dell’articolo 4 laddove si prevede che ogni istituto scolastico debba individuare fra i docenti un referente con il compito di coordinare le iniziative di prevenzione e contrasto, il quale potrà avvalersi della collaborazione delle Forze di polizia e delle associazioni presenti sul territorio.

Nell’ultimo triennio (2015-2017) molte istituzioni, enti e associazioni operanti a livello locale e/o territoriale hanno iniziato a elaborare e ad approvare provvedimenti (leggi, proposte di legge, mozioni e protocolli) tesi ad affrontare e a fornire una risposta concreta in tema di prevenzione e contrasto a tali forme di devianza.

Sul concetto esteso di “cittadinanza europea” Tar Lazio e Tribunale di Firenze, sezione lavoro, si sono recentemente imbattuti. Arrivando però a pronunciarsi in maniera diversa.

Le disposizioni in tema di selezione per incarichi di direttore di Museo, non essendo state modificate, vietano la partecipazione di cittadini non italiani. Il Tar Lazio, con la sentenza n. 6171 ,afferma quindi che il relativo bando non può ammettere al concorso candidati stranieri in quanto nessuna norma derogatoria consentiva al Ministero competente di reclutare dirigenti pubblici al di fuori delle indicazioni, tassative, espresse dalla norma.

Con la sentenza i giudici capitolini accoglievano il ricorso limitatamente a due ordini di censure: contro il bando che non esclude la partecipazione di cittadini non italiani dalla selezione; avverso gli atti della procedura, cioè i criteri per l'assegnazione dei 20 punti per il colloquio e l'intera prova orale dell’esame.

È discriminatorio il bando di un concorso pubblico riservato ai soli cittadini italiani. In sintesi è quello che ha sostenuto il tribunale di Firenze, sezione Lavoro, con l'ordinanza del 27 maggio 2017.

I magistrati del lavoro del tribunale di Firenze hanno in primo luogo affermato la giurisdizione sulla controversia del giudice ordinario e non di quello amministrativo in considerazione della natura pubblicista dell’atto in questione e della conseguente sussistenza solo di posizioni di interesse legittimo.

La materia degli appalti in primo piano: le sezioni Unite civili hanno dichiarato che l’annullamento in autotutela della procedura di affidamento fa scattare il diritto al risarcimento del danno la cui cognizione è devoluta al giudice amministrativo; sempre la Cassazione ha deciso che il termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno provocato dal comportamento negligente della stessa amministrazione appaltante coincide con la messa in liquidazione volontaria della stessa società e non nel momento in cui la medesima perde i requisiti tecnici per la partecipazione alle gare pubbliche.

Tra i doveri del notaio incaricato di autenticare un contratto preliminare vi è anche quello cosiddetto “di consiglio”, consistente nell'avvertire le parti che gli effetti della trascrizione del preliminare cessano dopo tre anni dall'esecuzione della formalità pubblicitaria ove non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all'articolo 2652, primo comma, n. 2, del codice civile.

Nel caso in cui il notaio sia ritenuto responsabile - nonostante non abbia violato alcun precetto espressamente sancito - si assiste a un trasferimento dell’alea contrattuale sul professionista e a un abbassamento della soglia di autoresponsabilità della parte, per certi versi sollevata dal rischio economico dell’operazione.

Sussiste il depistaggio se la condotta illecita del pubblico ufficiale o dell'incaricato del pubblico servizio risulta finalizzata proprio all'alterazione dei dati che compongono l'indagine o il processo penale. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 24557 del 2017.

Qui, di interesse, l'analisi sulla qualità soggettiva del “reo” (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) e sul contenuto dell'elemento soggettivo (dolo specifico): con precisazioni che fanno chiarezza, evitando ingiustificate estensive applicazioni in situazioni in cui, al contrario, dovrebbero essere ravvisate altre, meno gravi, fattispecie di reati.

Nuova condanna all'Italia dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza depositata il 4 maggio scorso, per il mancato rispetto del diritto alla vita privata e familiare, assicurato dall'articolo 8 della Convenzione europea.