PRIMO PIANO
EDITORIALE
IL TEMA DELLA SETTIMANA Dall’avvocato in Costituzione, passando per la riforma del processo civile e penale, fino ad arrivare alla tutela dell’indipendenza economica dei legali con l’attuazione dell’equo compenso e il sostegno fiscale dei professionisti: è questo il “ventaglio” di temi oggetto di attenzione della categoria al XXXIV Congresso nazionale forense che si terrà a Catania dal 4 al 6 ottobre prossimi, nella nuova veste disegnata con lo Statuto approvato a Rimini. A tracciare le linee guida degli avvocati per i prossimi tre anni sono il presidente del Cnf Andrea Mascherin e Antonio Rosa, coordinatore dell’Ocf.
PRASSI
Una professione numericamente stazionaria ,
sempre più anziana e caratterizzata dalla presenza di avvocatess e
.
Una categoria che cambia in modo diversificato in relazione ai dati di territorialità, di potenzialità di guadagni e di opportunità offerte. Questa è una parte della fotografia sul mondo forense.
L’articolo 2, comma 3- quater , del Dl 91/2018 convertito dalla legge n. 108 del 21 settembre 2018 stabilisce che le nuove modalità di svolgimento delle prove entreranno in vigore a partire dalla sessione d’esame 2020 anziché nel 2018: ancora una volta spaventano le finalità della riforma che sono collegate al dichiarato scopo di rendere la selezione più difficile.
GIURISPRUDENZA
La figura dell'assegno bancario torna al centro dell'attenzione della Suprema corte, sotto i profili propri sia del diritto civile sia di quello penale: con la sentenza n. 40526, pubblicata il 10 settembre scorso e con la sentenza n. 19487 del 23 luglio. Si tratta di questioni e di decisioni di particolare rilevanza non soltanto teorico-sistematica, ma anche pratico-applicativa.
La falsità commessa su un assegno bancario munito della clausola di non trasferibilità configura la fattispecie di cui all’articolo 485 del Cp, abrogato dall’articolo 1, comma 1, lettera a) , del Dlgs 15 gennaio 2016 n. 7 e trasformato in illecito civile. Lo hanno stabilito le sezioni Unite con la sentenza 40256 del 10 settembre.
Le sezioni Unite penali della Cassazione, escludendo la configurabilità dell’articolo 491 del Cp, risolvono il contrasto giurisprudenziale registratosi in seno alle sezioni semplici circa la corretta qualificazione giuridica della falsità in assegno bancario “non trasferibile” e la portata della depenalizzazione del fatto punito dall’articolo 485 del Cp.
Un primo indirizzo di legittimità - oggi avallato dalle sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 40256 - sancisce il potere della Suprema corte di scomputare direttamente la porzione di pena applicata per il reato abrogato, senza necessità di disporre l’integrale annullamento della sentenza di patteggiamento.
Qualora la firma apposta sull’assegno sia illeggibile (o solo parzialmente leggibile) e diversa dallo specimen presso l’istituto di creditore, è legittimo il protesto dell’assegno stesso nei confronti dell’intestatario del conto corrente. Si è espressa così la seconda sezione civile con l’ordinanza 19487/2018.
In altre occasioni la Suprema corte aveva affermato che ove risulti evidente che la firma non corrisponde a quella depositata presso la banca, quest’ultima, in osservanza delle prescrizioni di legge e in forza dei principi di buona fede e correttezza, deve adottare le opportune cautele per evitare di arrecare al correntista un pregiudizio ingiusto.
L’appuntamento odierno si sofferma sulle oscillazioni della giurisprudenza e della dottrina attorno agli effetti della morte del coniuge sul procedimento di divorzio pendente, questione da ultimo riaffrontata dalla Suprema corte.
Rassegna settimanale insolita per questa edizione, non rappresentativa delle ultime sentenze più importanti dei giudici di legittimità, per via dei problemi tecnici del servizio informatico della Corte di cassazione, che hanno impedito per giorni la pubblicazione delle sentenze civili e penali. Più spazio allora al diritto amministrativo e comunitario.
CIVILE
GIURISPRUDENZA
La Cassazione con l’ordinanza 21943/2018 si è occupata di una questione relativa a un decreto ingiuntivo e dell’applicazione della particolare ipotesi di responsabilità aggravata prevista dall’articolo 96, comma 3, del Cpc: in caso di abuso del processo serve solo la condotta pretestuosa e non il dolo e la colpa grave per applicare la sanzione.
La soluzione non è condivisibile: nel caso specifico, l’opponente, che già subisce le conseguenze pregiudizievoli del ritardo del processo derivante dalla sua stessa iniziativa processuale, finisce con l’essere altresì condannato al pagamento di una somma di denaro e, nel contempo, la controparte opposta finisce con l’essere doppiamente avvantaggiata.
È ricorribile mediante regolamento di competenza la sentenza del tribunale che abbia rigettato la domanda di parte creditrice, revocando il decreto ingiuntivo concesso, nell’erroneo presupposto che i contraenti avessero concordato la clausola compromissoria demandando la decisione ad arbitrato irrituale anziché rituale. Lo ha detto la Cassazione con l’ordinanza 21942/2018.
L’ordinanza n. 21942/2018, comparando il contratto oggetto di causa
con altro con diverso contraente, osserva che ambedue, dello stesso contenuto,
presentano l’identica impaginazione, margini e caratteri, e così giunge alla conclusione che trattasi di contratto su moduli o formulari, da cui l’esigenza di specifica sottoscrizione.
PENALE
GIURISPRUDENZA
Nei confronti del parlamentare non è mai configurabile il reato di corruzione propria (per atto contrario ai doveri di ufficio), antecedente e/o susseguente, ma solo quello di corruzione cosiddetta “impropria” ex articolo 318 del Cp, atteso che il sistema costituzionale e penale non può tollerare un'ingiustificata locupletazione o, comunque, l'acquisizione di un vantaggio non previsto, sinallagmaticamente correlato al pur insindacabile esercizio di essa da parte del parlamentare. Loa ha affermato la Corte di cassazionecon la sentenza 11 settembre 2018 n. 40347.
In attesa di una legge che perimetri il tema dell’attività di lobby nelle aule rappresentative e individui l’esatto orizzonte del “conflitto di interessi”, è toccato ai giudici Supremi addentrarsi in una vicenda emblematica del ruolo centrale che compete alla giurisdizione nel dipanare testi normativi non sempre lineari, come quelli in tema di corruzione.
AMMINISTRATIVO
GIURISPRUDENZA
Il condizionamento mafioso, che porta all’interdittiva, può derivare dalla presenza di soggetti che non svolgono ruoli apicali all’interno della società, ma siano o figurino come meri dipendenti, entrati a far parte dell’impresa senza alcun criterio selettivo e filtri preventivi; il condizionamento mafioso si può desumere anche dalla presenza di un solo dipendente “”infiltrato“”, del quale la mafia si serva per controllare o guidare dall’esterno l’impresa. Lo ha stabiltio il Consiglio di Stato con la sentenza 5410 del 2018.
La tutela delle libertà economiche presuppone che esse si muovano in un campo non viziato da infiltrazioni; in tale ottica, quindi, il consolidarsi di orientamenti tanto rigidi quanto chiari non può che salutarsi con favore. ll caso esaminato conferma il dato preminente assegnato al carattere preventivo degli strumenti interdittivi affidati alle amministrazioni.