Con la sentenza n. 33240/2021, depositata l'8 settembre scorso, la Sesta sezione penale della Cassazione – per la prima volta dopo la novella del 2020 (che, tra l'altro, ha escluso la rilevanza ex se della violazione delle norme regolamentari) – ha precisato il possibile apporto delle fonti di rango regolamentare in seno al riscritto articolo 323 del Cp, ammettendo un livello minimo di eterointegrazione alle suddette, tassative, condizioni. Anche dopo la riforma dell’abuso d’ufficio la trasgressione di norme regolamentari può conservare rilevanza penale. Lo hanno affermato i giudici della Sesta sezione penale della Suprema corte, con la sentenza n. 33240, con la quale si sostiene che la violazione di norme contenute in regolamenti può rilevare «nel caso in cui esse, operando quali norme interposte, si risolvano nella specificazione tecnica di un precetto comportamentale già compiutamente definito nella norma primaria e purché questa sia conforme ai canoni della tipicità e tassatività propri del precetto penale». La Corte non poteva che ribadire che, oggi, ai fini della configurabilità del reato di abuso di ufficio può rilevare solo la violazione di «regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge», cioè da fonti primarie, mentre è esclusa la rilevanza della violazione di norme contenute all’interno di «regolamenti», a meno che, quali norme interposte, si risolvano nella specificazione tecnica di un precetto comportamentale già definito nella norma primaria. In conclusione, la sentenza testimonia dell’importante sforzo della Corte di cassazione di fornire sempre continue “specifiche interpretative” sul novum normativo introdotto dall’articolo 23 del decreto legge 16 luglio 2020 n. 76. Vi proponiamo il testo della decisione e l’analisi degli esperti su un tema così delicato per la Pa. Il primo commento si sofferma in particolare sul contenuto della pronuncia; al centro del secondo contributo c'è invece un'ampia analisi della “riforma” e dei suoi effetti.